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dell'impero romano cap. vi. 247

esenti come sudditi, si credevano ampiamente compensati dal grado che ottenevano, dai privilegi che acquistavano e dal bello aspetto di onori e di ricchezze, che si presentava alla loro ambizione. Ma questi vantaggi svanirono quando Caracalla, togliendo ogni distinzione costrinse tutti i provinciali a prendere, lor malgrado, il vano titolo e le obbligazioni reali di cittadini romani. Nè il rapace figlio di Severo si contentò della tassa, della quale si erano contentati i moderati suoi predecessori. In vece del ventesimo egli esigè il decimo di tutte le eredità e di tutti i legati, e durante il suo regno (perocchè dopo la sua morte fu l’imposizione rimessa sull’antico metodo) tutte le parti dell’Impero furono egualmente oppresse dal peso del suo scettro di ferro1.

Quando in tal guisa furono tutti i provinciali sottomessi alle imposizioni particolari dei cittadini romani, pareva che dovessero legittimamente essere esentati da quelle, ch’erano soliti di pagare nella prima condizione di sudditi. Ma queste non erano le massime di governo prese a seguire da Caracalla, e dal preteso suo figlio. Le province si ritrovarono aggravate, ad un tempo stesso, dai nuovi e dagli antichi tributi. Era riservato al virtuoso Alessandro di sollevarle in gran parte da questa intollerabile oppressione, riducendo i tributi alla trentesima parte di quello ch’erano al suo avvenimento2. È impossibile di congetturare per qual motivo egli lasciasse sussistere quel piccolo residuo della pub-

    descritta da Plinio (Panegir. c. 37 38 39.) Traiano pubblicò una legge molto a loro favorevole.

  1. Dione l. LXXVII p. 1295.
  2. Chi era tassato a dieci aurei, ordinario tributo, non pagò più che il terzo di un aureo; ed Alessandro fece in con-