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stato possibile di condurre ad effetto questo sogno chimerico, Traiano e gli Antonini avrebbero certamente con ardore abbracciata la gloriosa occasione di rendere un servizio così segnalato al genere umano. Contenti pertanto di alleggerire le pubbliche gravezze, non tentarono di abolirle. La dolcezza e la precisione delle loro leggi determinò la regola e la misura delle imposizioni, e protesse il suddito d’ogni condizione contro le arbitrarie interpretazioni, le antiquate pretensioni, e le insolenti vessazioni degli appaltatori1. È per altro cosa singolare, che, in ogni secolo, i migliori e più savj Imperatori romani seguissero il pericoloso metodo di dare in appalto i rami, principali almeno, delle gabelle e delle imposizioni sopra le vendite2.

La situazione ed i sentimenti di Caracalla erano, per vero dire, ben diversi da quelli degli Antonini. Disattento, anzi nemico del pubblico bene, si trovò nella necessità di soddisfare all’avarizia insaziabile, ch’egli medesimo destata avea nelle truppe. Di tutte le diverse imposizioni introdotte da Augusto, il ventesimo sulle eredità, e su i legati era la più fruttifera e la più estesa. Siccome non era ristretta ai soli abitanti di Roma o dell’Italia, se ne aumentava continuamente il prodotto, a proporzione che si dilatava la cittadinanza romana. I nuovi cittadini, benchè egualmente sottoposti alle nuove tasse3, dalle quali erano stati

  1. Ved. Il Paneg. di Plinio; la Stor. Aug., e Burmanno De vectigalibus.
  2. I tributi, propriamente detti, non erano dati in appalto, giacchè i buoni Principi condonarono spesso molti milioni di rate decorse.
  3. La condizione dei nuovi cittadini viene esattissimamente