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dell'impero romano cap. vi. 245

la morte. L’arte della compiacenza e dell’adulazione divenne una scienza lucrosa; quelli, che la professavano, furono conosciuti sotto un nome particolare; e tutta la città, secondo le vivaci descrizioni della satira, era divisa in due parti, i cacciatori1, e la cacciagione. Mentre dunque ogni giorno tanti strani, ed ingiusti testamenti venivano dettati dall’accortezza, e sottoscritti dalla follìa, alcuni pochi erano suggeriti da una sensata stima o virtuosa gratitudine. Cicerone, che tanto spesso avea difeso le vite ed i beni dei suoi concittadini, fu ricompensato con legati, la cui somma ascese quasi a trecento quarantamila zecchini2; nè pare che gli amici di Plinio il Giovane fosser men generosi verso questo amabile oratore3. Qualunque fosse il motivo del testatore, il Tesoro reclamava, senza distinzione, la ventesima parte dell’eredità, e nel corso di due o tre generazioni l’intero patrimonio del suddito doveva a poco a poco passare nella cassa dello Stato.

Nei primi anni felici del regno di Nerone, questo Principe, per desiderio di rendersi popolare, o forse per un cieco impulso di benificenza, ebbe l’idea di abolire tutti i gravami delle gabelle e delle imposizioni sopra le vendite. Applaudirono i Senatori più prudenti alla sua magnanimità, ma lo distolsero dall’esecuzione di un disegno, che avrebbe distrutta la forza e le sorgenti delle ricchezze della Repubblica4. Se fosse

  1. Orazio l. II Sat. V. Petronio c. 116. ec. Plinio l. II let. 20.
  2. Cicerone Filipp. II c. 16.
  3. Ved. le sue Lettere. Tutti questi testamenti gli davano occasione di mostrare il suo rispetto pei morti, e la sua giustizia pei vivi. E questo e quella egli conciliò insieme nella condotta ch’ei tenne con un figlio diseredato dalla madre (V. 1).
  4. Tacito Ann. XIII 50 Esprit des loix l. XII c. 19.