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dell'impero romano cap. vi. 243

sumo. Una simile tassa, che aggrava tutta la nazione, ha sempre cagionato lagnanze e disgusti. Un Imperatore, che conosceva perfettamente i bisogni dello Stato e i mezzi per supplire ai medesimi, fu costretto a dichiarare con un pubblico editto, che il mantenimento dell’armata si ricavava in gran parte dall’imposizione sulle vendite1.

III. Quando Augusto deliberò di stabilire una milizia permanente per difendere il suo Governo contro i nemici esterni e domestici, istituì un tesoro particolare per la paga dei soldati, per le ricompense de’ veterani, e per le spese straordinarie della guerra. L’ampia rendita della imposizione sulle vendite, benchè tutta si applicasse a quegli usi, pure non fu sufficiente; e per supplire alla mancanza l’Imperatore suggerì una nuova tassa di cinque per cento sopra tutti i legati e tutte l’eredità. Ma i nobili romani si mostrarono più gelosi dei loro beni, che della loro libertà. Augusto ne udì le lagnanze con la sua solita moderazione. Rimise egli di buona fede l’affare al Senato, esortandolo a rintracciare qualche altro meno odioso espediente per provvedere alla pubblica utilità. Erano i Senatori divisi e perplessi, ma avendo egli detto, che la loro ostinazione l’obbligherebbe a proporre una tassa generale sopra i terreni e sopra le teste, consentirono, senza far più parole, al primo progetto2. La nuova imposizione sopra i legati e le eredità fu per altro mitigata da

  1. Tacito Ann. I. 78. Due anni dopo l’Imperatore Tiberio avendo soggiogato il povero regno di Cappadocia, ne trasse un pretesto per diminuire di metà l’imposizione sulle vendite; ma questa diminuzione fu di poca durata.
  2. Dione l. LV 794 l. LVI p. 825.