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lusso pagassero un dazio maggiore che quelli di necessità; e che per li prodotti e le manifatture dell’Impero si avesse una maggiore indulgenza, che non pel nocivo o almeno infruttuoso commercio dell’Arabia o dell’India1. Esiste ancora un lungo, ma imperfetto catalogo delle mercanzie orientali, che verso il tempo di Alessandro Severo soggiacevano alle imposizioni, ed erano la cannella, la mirra, il pepe, lo zenzero e tutti gli aromati; una gran varietà di pietre preziose, tra le quali il diamante era la più riguardevole pel suo valore, e lo smeraldo per la sua bellezza2; le pelli che venivano dalla Partia e da Babilonia, i cotoni, le sete gregge o lavorate, l’ebano, l’avorio e gli eunuchi3. È da notarsi che l’uso ed il prezzo di questi schiavi effeminati andò crescendo in proporzione della decadenza dell’Impero.

II. L’imposizione sulle vendite, introdotta da Augusto dopo le guerre civili, era tenue ma generale. Passò raramente l’uno per 100, ma comprendeva tutto ciò che si vendea nei mercati o all’asta pubblica, dagli acquisti più considerabili di terreni o di case, fino a quei minuti oggetti, il cui prodotto non può divenire importante che pel loro infinito numero, e giornaliero con-

  1. Ved. Plinio (Stor. Nat. l. VI c. 23. l. XII. c. 18.) Osserva egli che le merci dell’Indie si vendevano a Roma cento volte più del loro primitivo valore: dal che si può formare una idea del prodotto delle dogane, poichè questo valore primitivo a detta del medesimo Plinio montava per lo meno a più di 1,600,000 zecchini.
  2. Gli antichi ignoravano l’arte di faccettare il diamante.
  3. Il Sig. Bouchaud nel suo trattato delle imposizioni dei Romani ha trascritta questa lista che si trova nel Digesto, ed ha voluto illustrarla con un prolisso commentario.