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dell'impero romano cap. vi. 237

generale tributo, imposto con giusta proporzione sopra i beni dei cittadini1. Per più di 200 anni dopo la conquista di quella città, le vittorie della Repubblica aumentarono più la potenza, che la ricchezza di Roma. Gli Stati dell’Italia pagavano il loro tributo col solo servizio militare, e le immense forze terrestri e marittime, impiegate nelle guerre Puniche, furono tutte mantenute a spese dei Romani medesimi. Questo popolo generoso (sì grande è talvolta il nobile entusiasmo della libertà) si sottometteva con piacere alle più eccessive e volontarie gravezze, nella giusta fiducia di presto godere la ricca ricompensa delle sue fatiche. Non andarono deluse le sue speranze. In pochi anni le ricchezze di Siracusa, di Cartagine, della Macedonia e dell’Asia furono portate a Roma in trionfo. I soli tesori di Perseo ascendevano a quattro milioni di zecchini, ed il popolo romano, sovrano di tante nazioni, fu per sempre liberato dal peso delle tasse2. La rendita delle province, che sempre andava aumentando, servì per supplire alle spese ordinarie della guerra e del Governo, e la superflua massa dell’oro e dell’argento fu depositata nel tempio di Saturno, e riserbata per qualunque improvvisa necessità dello Stato3.

La storia non ha forse mai sofferta una perdita più grande, o più irreparabile, che nello smarrimento di quel curioso registro lasciato da Augusto al Senato, nel quale questo Principe sperimentato avea fatto un

  1. Vedi Tito Livio l. IV e V. Nel censo dei Romani si proporzionavano esattamente i beni e la facoltà, e la tassa.
  2. Plinio Stor. Nat. l. XXXIII c. 3. Cicerone De officiis II 22. Plutarco vita di Paolo Emilio) p. 375.
  3. Vedi una bella descrizione di questi tesori accumulati nella Farsaglia di Lucano l. III v. 155 ec.