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dell'impero romano cap. vi. 233

delle donne, eccitò un tumulto nella loro legione. Alessandro montò sul suo tribunale, e con una modesta fermezza rappresentò a quella moltitudine armata l’assoluta necessità, e l’inflessibile sua risoluzione di correggere i vizj introdotti dal suo impuro predecessore, e di mantenere la disciplina, senza la quale il nome e l’Impero romano doveano necessariamente perire. Furono dai loro clamori interrotte queste moderate rappresentanze. „Tenete in serbo le vostre grida„ disse il coraggioso Imperatore „finchè non siate in campo contro i Persiani, i Germani ed i Sarmati: tacete al cospetto del vostro Sovrano benefattore, che vi concede il grano, le vesti e il denaro delle province: tacete, o più non vi chiamerò soldati, ma cittadini1, se pure quelli che calpestano le leggi di Roma meritano d’essere annoverati anche tra i più vili del popolo„. Le sue minacce irritarono il furore della legione, e le loro armi impugnate già minacciavano la sua persona. „Il vostro coraggio„ riprese l’intrepido Alessandro „si mostrerebbe più nobilmente in un campo di battaglia; potete togliermi la vita, ma non già intimorirmi, e la severa giustizia della Repubblica punirebbe il vostro delitto, e vendicherebbe la mia morte.„ La legione continuava i suoi clamori, quando l’Imperatore pronunziò ad alta voce: „Cittadini, deponete le armi, e ritiratevi in pace alle vostre rispettive abitazioni.„ Fu la tempesta immediatamente calmata: i soldati, pieni

  1. Giulio Cesare avea sedata una ribellione con la stessa parola quirites che opposta a quella di milites era un termine di disprezzo, e riduceva i colpevoli alla meno onorifica condizione di cittadini. Tacito Ann. I 43.