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mune della licenza militare, domandarono la testa del riformatore. Alessandro, per altro, in cambio di cedere ai loro sediziosi clamori, mostrò quanto stimava i servizj ed il merito di Dione, facendolo suo collega nel Consolato, e pagando col suo proprio danaro la spesa di questa vana dignità; ma siccome giustamente si temeva, che se i soldati lo vedevano con le insegne della carica, non vendicassero nel suo sangue un tale insulto, il primo apparente magistrato della Repubblica, per consiglio dell’imperatore, si allontanò da Roma, e passò la maggior parte del suo consolato nelle proprie ville della Campania1.

La dolcezza dell’Imperatore aumentò l’insolenza delle truppe: le legioni imitarono l’esempio delle guardie, e difesero la loro prerogativa della licenza con lo stesso ostinato furore. Il Governo di Alessandro fu un inefficace sforzo contro la corruttela del secolo. Nell’Illirico, nella Mauritania, nell’Armenia, nella Mesopotamia e nella Germania scoppiavano sempre nuove congiure; furono trucidati gli uffiziali, insultata la maestà, e finalmente sacrificata la vita di questo Principe al furore de malcontenti soldati2.

In una sola occasione le truppe rientrarono nel loro dovere e nell’obbedienza: è questo un fatto particolare che merita di essere rammentato, e serve a ben conoscere l’indole di quei soldati. Mentre l’Imperatore stava in Antiochia nel tempo della guerra persiana, di cui parleremo tra poco più estesamente, il castigo di alcuni soldati, che erano stati sorpresi nel bagno

  1. Si può vedere nel fine tronco della Storia di Dione (l. LXXX p. 1371.) qual fosse il fato di Ulpiano ed a quai pericoli fosse esposto Dione.
  2. Reymat, Note a Dione. l. LXXX p. 1369.