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dell'impero romano cap. vi. 231

e mentre il popolo riconoscente difendeva la vita di quell’eccellente ministro, Roma fu per tre giorni esposta a tutti gli orrori della guerra civile. Atterrito finalmente il popolo dalla vista d’alcune case incendiate, e dalle minacce d’un incendio generale, cedè sospirando, e rilasciò il virtuoso Ulpiano al suo sfortunato destino. Fu egli inseguito sin dentro il palazzo imperiale, e trucidato ai piedi del suo Signore, che invano si sforzava di coprirlo col suo manto, e di ottenerne il perdono da quegl’inesorabili soldati. Tale era la deplorabile debolezza del Governo, che l’Imperatore non potè vendicare il suo trucidato amico o la sua insultata maestà, senza ricorrere alle arti della pazienza e della dissimulazione. Epagalo, il principale condottiero dei sollevati, fu mandato lungi da Roma nell’onorevole impiego di Prefetto dell’Egitto: da quell’alto posto a poco a poco fu degradato al governo di Creta; e quando il tempo e la lontananza lo fecero dimenticare ai soldati, Alessandro, preso animo, gl’inflisse il tardo, ma giusto castigo de’ suoi delitti1. Sotto il regno di un Principe giusto e virtuoso, la tirannia dell’esercito minacciava di pronta morte i più fedeli di lui Ministri, quando si sospettava ch’essi volessero riformare i loro eccessivi disordini. Dione Cassio, lo Storico, aveva comandate lo legioni della Pannonia con i principi dell’antica disciplina: i loro compagni, che stavano a Roma, abbracciando la causa co-

  1. Benchè l’autore della vita di Alessandro (Stor. Aug. p. 132.) parli della sedizione dei soldati contro Ulpiano, passa però sotto silenzio la catastrofe, che poteva nel suo eroe essere un segno di debolezza nell’amministrazione. Da una simile omissione si può giudicare della fedeltà di questo Autore e della credenza che merita.