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dell'impero romano cap. vi. 229

Senato, nobilmente ricusò l’imprestato lustro d’un nome, mentre con tutta la sua condotta procurava di ristabilire la gloria e la felicità del secolo1 dei veri Antonini.

Nel governo civile di Alessandro, la prudenza era rinvigorita dall’autorità; ed il popolo, persuaso della pubblica felicità, ricompensava il suo benefattore con l’amore e con la gratitudine. Restava a compirsi l’impresa più grande, più necessaria, e più pericolosa, la riforma cioè delle milizie, l’interesse ed il carattere delle quali, confermato da lunga impunità, le rendeva incapaci di freno, ed insensibili alla felicità dello Stato. Nell’esecuzione del suo disegno, l’imperatore fece sembiante d’amar l’esercito senza temerlo. La più rigida economia in ogni altro dipartimento del Governo, gli somministrava un fondo d’oro e d’argento per la paga ordinaria delle truppe e per le ricompense straordinarie. Rallentò ad esse il severo obbligo di portare sulle spalle, marciando, le provvisioni per diciassette giorni. Furono lungo le pubbliche strade eretti ampi magazzini, ed appena entravano i soldati in paese nemico, che un numeroso seguito di muli e di cammelli accompagnava la loro orgogliosa mollezza. Siccome Alessandro disperava di potere reprimere il lusso dei soldati, procurò almeno di dirigerlo verso oggetti di pompa, e

  1. Il racconto della disputa che nacque su questo articolo tra il Senato ed Alessandro, è estratto dai registri di quella adunanza (Stor. Aug. p. 116 117). Cominciò il 6 Marzo, probabilmente l’anno 223, quando già i Romani avevano gustate per quasi dodici mesi le dolcezze di nuovo regno. Avanti che fosse offerto al Principe il nome di Antonino come un titolo d’onore, il Senato gli propose di prenderlo come un nome di famiglia.