224 |
storia della decadenza |
|
quei primi Romani, che si maritavano senza amore, ed amavano senza delicatezza e rispetto1. La superba Agrippina tentò, è vero, di aver parte agli onori dell’Impero, al quale essa aveva innalzato il suo figlio; ma la sua folle ambizione, detestata da tutti i cittadini, che ancor veneravano la maestà di Roma, fu sconcertata dalle arti e dalla fermezza di Seneca e di Burro2. Il buon senso e l’indifferenza dei Principi successivi si trattenne dall’offendere i pregiudizj dei loro sudditi; ed era riservato all’infame Elagabalo di disonorare gli atti del Senato con il nome della sua madre Soemia, che sedeva accanto ai Consoli, e soscriveva, come gli altri Senatori, i decreti di quell’assemblea legislatrice. La sua sorella Mammea ricusò prudentemente questa inutile ed odiosa prerogativa, e fu promulgata una legge solenne, che escludeva per sempre le donne dal Senato, e consacrava agli Dei infernali il capo di chiunque violasse un tale decreto3. L’oggetto della virile ambizione di Mammea era la realtà, non l’apparenza del potere. Ella si conservò un impero assoluto e durevole sullo spirito del figlio, ed in ciò non potè quella madre soffrire un rivale. Alessandro, col consenso di lei, sposò la figlia di un patrizio, ma il di lui rispetto pel suocero, e l’amore per l’Imperatrice, erano incompatibili colla tenerezza, e coll’interesse di Mammea. Il
- ↑ „Se la natura fosse stata liberale fino a darci l’esistenza senza il soccorso delle donne, noi saremmo liberi da una compagnia molto importuna„. Così si espresse Metello Numidico il censore dinanzi al popolo romano; ed aggiunse che il matrimonio dovea considerarsi come il sacrifizio di un piacere particolare ad un pubblico dovere. Aldo Gellio I 6.
- ↑ Tacito Ann. XIII 5.
- ↑ Stor. Aug. p. 102, 107.