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dell’Imperatore, o dell’Imperatrice, come ei da se stesso più propriamente si nominava.

Forse l’immaginazione, il pregiudizio e la calunnia hanno ingranditi i vizj e le pazzie di Elagabalo1. Ma ristringendoci ancora alle pubbliche scene rappresentate avanti il romano popolo, ed attestate da gravi e contemporanei scrittori, la loro indicibile infamia vince quella d’ogni altro secolo o paese. Le dissolutezze di un Sultano restano nascoste agli occhi dei curiosi dalle inaccessibili mura del suo serraglio. I sentimenti di onore e le maniere galanti hanno introdotto nelle moderne Corti d’Europa il raffinamento nel piacere, il rispetto per la decenza, ed il riguardo per la publica opinione; ma i doviziosi e corrotti nobili di Roma adottavano tutti i vizj, che v’introduceva il concorso delle nazioni e dei costumi stranieri. Sicuri della impunità, e non curanti della censura, vivevano senza alcun freno nell’umile e sommessa società dei loro schiavi o dei loro parassiti. L’Imperatore, dal canto suo, riguardando tutti i suoi sudditi con egual disprezzo ed indifferenza, sosteneva senza ritegno veruno il sovrano suo privilegio delle dissolutezze e del lusso.

I più indegni tra gli uomini non temono di condannare negli altri quei vizj medesimi, nei quali essi pure s’ingolfano. Per giustificare questa parzialità sono sempre pronti a trovare qualche leggiera differenza nell’età, nel carattere, o nelle circostanze. I licenziosi soldati, che avevano innalzato al trono l’indegno figlio di Caracalla, arrossirono dell’infame loro scelta, e fremendo

  1. Il credulo compilatore della sua vita è inclinato ancor esso a credere che i suoi vizj possano essere stati esagerati. Stor. Aug. p. 111.