Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano I.djvu/251

214 storia della decadenza

toriane, quasi per un impulso involontario, sostennero la superiorità del loro valore e della lor disciplina. Le file dei ribelli erano già rotte, quando la madre e l’ava del Principe siro (che secondo il costume orientale seguitavan l’esercito) si gettarono dai loro coperti carri, ed eccitando la compassione dei soldati, procurarono di rianimarne il cadente coraggio. Antonino stesso, che nel resto della sua vita non fece mai azioni da uomo, in quella importante crisi del suo destino operò da eroe. Montò a cavallo, ed alla testa delle riordinate sue truppe si scagliò colla spada in pugno dove erano più folti i nemici; mentre l’eunuco Ganni, le cui occupazioni fino allora s’erano confinate alla cura del serraglio, ed all’effeminato lusso dell’Asia, spiegava i talenti di un Generale abile e sperimentato. Era incerta ancor la vittoria, e forse Macrino l’avrebbe riportata, se non avesse tradita la propria causa con una fuga vile e precipitosa. La sua codardia servì solamente a prolungargli la vita per pochi giorni, e ad imprimere sopra le sue disgrazie la meritata ignominia. È inutile aggiungere, che il suo figlio Diadumeniano fu involto nella stessa rovina. Appena gli ostinati Pretoriani si avvidero, che combattevano per un Principe, il quale vilmente gli avea abbandonati, si renderono al vincitore: i due emuli eserciti romani, mescolando lagrime di tenerezza e di gioia, si riunirono sotto le insegne dell’immaginario figlio di Caracalla, e l’Oriente riconobbe con piacere il primo Imperatore che nato fosse nell’Asia.

Macrino si era degnato di scrivere al Senato avvi

    La battaglia fu data vicino al villaggio d’Imma a sette leghe incirca da Antiochia.