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dell'impero romano cap. vi. 203

torio ed equestre1. Ma Caracalla si mostrò il nemico comune del genere umano. Lasciò la Capitale (nè mai più vi fece ritorno) circa un anno dopo la morte di Geta. Passò il resto del suo regno nello diverse province dell’Impero, particolarmente nelle orientali, ed ogni provincia divenne a vicenda il teatro della sua rapina e della sua crudeltà. I Senatori, forzati dal timore a secondare tutti i suoi capricci, erano obbligati di preparargli ogni giorno con immense spese nuovi divertimenti, che con disprezzo abbandonava alle sue guardie, e ad erigere in ogni città palazzi e teatri magnifici, ch’egli o sdegnava di visitare, o comandava che tosto fossero demoliti. Le più ricche famiglie furono rovinate con tasse e confiscazioni private, mentre il corpo intero dei sudditi il era oppresso,, da ricercate e gravose imposizioni2. In mezzo alla pace, e per una leggierissima offesa egli comandò uno scempio generale in Alessandria di Egitto. Da un posto sicuro nel tempio di Serapide, contemplava e regolava la strage di molte migliaia di cittadini e di stranieri, senza avere riguardo alcuno al numero, o alla colpa di quegl’infelici; giacchè (com’egli freddamente ne scrisse al Senato) tutti gli Alessandrini, e quelli ch’erano periti, e quelli che si erano salvati, meritavano ugualmente la morte3.

  1. Tiberio e Domiziano non si allontanarono mai dai contorni di Roma. Nerone fece un piccolo viaggio nella Grecia. Et laudatorum Principum usus ex aequo quamvis procul agentibus. Saevi proximis ingruunt'. Tacit. Stor. IV 75.
  2. Dione l. LXXVII. p. 1294.
  3. Dione l. LXXVII p. 1307; Erodiano l, IV p. 158. Il primo rappresenta questa strage come un atto di crudeltà; l’altro pretende che vi si usasse ancor la perfidia. Sembra che gli Alessandrini avessero irritato il tiranno con le loro Satire, e forse con i loro tumulti.