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dell'impero romano cap. vi. 199

tarlo. Egli con rotte e confuse parole, gl’informò del suo fortunato scampo dall’imminente pericolo; fece loro credere di aver prevenuto i disegni del suo nemico, e dichiarò la sua risoluzione di vivere e di morire con le sue truppe fedeli. Geta era stato il favorito dei soldati; ma vano era il lamento, pericolosa la vendetta, ed essi rispettavano ancora il figliuol di Severo. Il loro malcontento si dissipò in oziose mormorazioni, e Caracalla presto li persuase della giustizia della sua causa, distribuendo loro con prodigo donativo i tesori accumulati sotto il regno del padre1. Le disposizioni dei soldati erano le sole importanti per la potenza o salvezza di lui; e la loro dichiarazione in suo favore comandò le rispettose proteste del Senato. Quella docile assemblea era pronta sempre a ratificare la decisione della fortuna; ma siccome Caracalla desiderava di addolcire i primi moti della pubblica indignazione, il nome di Geta fu rammentato con rispetto, ed egli ricevè gli onori funebri dovuti ad un Imperatore romano2. La posterità, deplorandone la sventura, ha gettato un velo sopra i suoi vizj. Noi consideriamo questo giovane Principe, come vittima innocente dell’ambizione di suo fratello; non rammentandoci che gli mancò piuttosto il potere, che il desiderio, per commettere attentati eguali di vendetta e di strage.

    telari. Le Aquile e le altre insegne militari tenevano tra queste il primo luogo. Questa eccellente istituzione avvalorava la disciplina con la sanzione della religione. Vedi Giusto Lipsio de militia Romana, IV 5. V 2.

  1. Erodiano l. IV p. 148: Dione Cassio l. LXXVII. p. 1289.
  2. Geta fu collocato tra gli Dei. Sit divus, disse il fratello, dum non sit vivus. Stor. Aug. p. 91. Si trovano tuttavia sulle medaglie alcuni indizj della consacrazione di Geta.