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mente assodata dalla mano del tempo e della politica, ch’era necessaria la più gran violenza per separarla in due parti. I Romani avevan ragion di temere che le disgiunte membra sarebbono ben presto ridotte da una guerra civile sotto il dominio di un solo Signore; ma se la separazione era durevole, la divisione delle province dovea terminare nella dissoluzione di un Impero, la cui unità erasi mantenuta fino a quel tempo inviolata1.

Se quel trattato fosse stato eseguito, il Sovrano della Europa avrebbe presto conquistato l’Asia; ma Caracalla riportò una vittoria più facile e più scellerata. Artificiosamente egli porse orecchie ai preghi della madre, e consentì di trovarsi nell’appartamento di lei col suo fratello, per trattare delle condizioni della pace e della riconciliazione. Nel mezzo del loro abboccamento, alcuni Centurioni, che Caracalla aveva nascosti, si avventarono colle spade sguainate addosso al misero Geta. La sventurata madre procurò di salvarlo nelle sue braccia; ma nell’inutile sforzo fu ferita ella stessa in una mano; e coperta del sangue di Geta, vide il barbaro fratello animare e secondare2 il furore degli assassini. Appena fu commesso il misfatto, Caracalla, coll’orrore sul volto, corse frettoloso al campo dei Pretoriani, come suo unico asilo, e si prosternò dinnanzi alle statue dei Numi tutelari3. I soldati presero ad alzarlo e confor-

  1. Erodiano l. IV p. 144.
  2. Caracalla consacrò, nel tempio di Serapide, la spada, con la quale si vantava di avere ucciso il suo fratello Geta. Dione l. LXXVII p. 1307.
  3. Erod. l. IV p. 147. In tutti i campi degli eserciti romani s’innalzava a canto al quartier generale una piccola cappella, nella quale si custodivano ed adoravano le divinità Tu-