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dell'impero romano cap. vi. 191

amica d’ogni uomo d’ingegno1. La riconoscente adulazione dei letterati ha celebrate le sue virtù; ma se porgiamo orecchio agli scandalosi racconti dell’antica storia, la castità non era la più cospicua virtù dell’Imperatrice Giulia2.

Due figliuoli, Caracalla3 e Geta, furono i frutti di quel matrimonio, e i destinati eredi dell’Impero. Le belle speranze del padre e dei Romani vennero presto deluse da questi vani giovani, che già mostravano l’indolente sicurezza dei Principi ereditarj, ed una presunzione, che la fortuna dovesse tener il luogo del merito e dell’applicazione. Senza veruna emulazione di virtù o di talenti, essi fin dall’infanzia mostrarono l’uno verso l’altro un’antipatia costante ed implacabile. Questa avversione, cresciuta con gli anni, e fomentata dagli artifizi degli interessati lor favoriti, produsse in principio fanciullesche gare, che a poco a poco si fecero più serie, e finalmente divisero il teatro, il circo, e la Corte in due fazioni animate dalle speranze e dai timori dei rispettivi lor capi. Il saggio Imperatore procurò con le ammonizioni e con l’autorità di soffocare questa animosità ognor crescente. La fatale discordia de’ figli oscurava ogni bella sua mira, e minacciava di rovesciare

  1. Vedi una Dissertazione di Menagio, al fine della sua edizione di Diogene Laerzio De foeminis philosophis.
  2. Dione l. LXXVI p. 1285. Aurelio Vittore.
  3. Bassiano era il suo primo nome, come lo era stato del suo avo materno. Durante il regno egli prese il nome di Antonino, che è usato dai giureconsulti e dagli storici. Dopo la sua morte, la pubblica indegnazione gli pose i soprannomi di Taranto, e di Caracalla. Il primo era quello di un celebre gladiatore, il secondo gli fu dato per una lunga veste alla foggia dei Galli ch’egli distribuì al popolo romano.