Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano I.djvu/226


dell'impero romano 189


CAPITOLO VI.

Glorie di Severo: tirannia di Caracalla: usurpazione di Macrino: pazzia di Elagabalo: virtù di Alessandro Severo: sfrenata licenza dell’esercito: stato generale delle finanze romane.

Le vie che menano alla grandezza, quantunque ripide e perigliose, possono però tener desto un animo attivo, mediante la coscienza e l’esercizio delle proprie sue forze; ma il possesso di un trono non può mai soddisfar pienamente una mente ambiziosa. Provò Severo, e riconobbe questa trista verità. La fortuna ed il merito lo aveano da un umile stato innalzato al primo trono del Mondo.„ Egli era stato ogni cosa„ (come dicea egli stesso) „ed ogni cosa era di picciol valore1„. Occupato dalla cura non di acquistare, ma di conservare un Impero, oppresso dall’età e dalle malattie, non curante di gloria2, e sazio di comandare, la vita non aveva più veruna lieta prospettiva per lui; il desiderio di mantenere l’Impero nella sua famiglia divenne il solo scopo della sua ambizione, e del paterno suo affetto.

Severo, come la maggior parte dogli Affricani, era appassionato per li vani studj della magia e della divinazione, profondamente versato nell’interpretazione dei sogni e degli augurj, e dottissimo nella strologia giudiciaria, scienza che quasi in ogni secolo, fuori che

  1. Stor. Aug. p. 71 Omnia fui, et nihil expedit.
  2. Dione Cassio l. 1XXVI p. 1284.