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dell'impero romano cap. v. | 187 |
do al delicato sistema della civil politica istituito da Augusto; ma Severo aveva passata la gioventù nella cieca obbedienza del campo, e l’età più matura nel dispotismo del comando militare. Il suo carattere altiero e inflessibile, non seppe, o non volle vedere il vantaggio, che v’era nel mantenere una potenza intermedia (benchè immaginaria) tra l’Imperatore e l’esercito. Sdegnava egli di professarsi servo di un’assemblea, che detestava la sua persona, e tremava al suo aspetto. Comandava, quando il pregare sarebbe stato egualmente efficace; prese la condotta e lo stile di un sovrano e di un conquistatore, ed esercitò senza riserva insieme tutta la potestà legislatrice e l’esecutrice.
Questa vittoria sopra il Senato era facile, e senza gloria. Tutti gli occhi e tutte le passioni erano rivolte verso il supremo Magistrato, padrone dell’armi, e delle ricchezze dello Stato; mentre il Senato, non eletto dal popolo, non difeso dalle milizie, nè animato dallo spirito patriottico, appoggiava la sua cadente autorità sulla debole e vacillante base dell’antica opinione. Il bel sistema d’una Repubblica svanì insensibilmente, e dette luogo ai più naturali e sostanziali sentimenti della monarchia. Siccome la libertà e gli onori di Roma furono successivamente comunicati alle province, alle quali il vecchio Governo era stato o sconosciuto, o in odio, a poco a poco si dileguò la tradizione delle massime repubblicane. Gl’Istorici greci del secolo degli Antonini1 osservarono con un maligno piacere, che sebbene il Sovrano di Roma, per rispetto ad un antico pregiudizio, si fosse astenuto dal prendere il nome di Re, ne possedeva per altro il potere in tutta quanta l’am-
- ↑ Appiano in Proem.