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dell'impero romano cap. v. | 181 |
la vita per un Impero, e soggiacquero alla sorte stessa, che vincitori avrebbero fatta sopportare al vinto, nè Severo avea quell’arrogante superiorità, che permette a un rivale di vivere in condizione privata. Ma l’inesorabile suo carattere, stimolato dall’avarizia, lo portò alla vendetta, quando nulla gli rimaneva più da temere. I più considerabili tra i provinciali, che senza avversione alcuna al fortunato pretendente, avevano ubbidito al governatore, sotto l’autorità del quale si erano casualmente trovati, furono puniti con la morte, con l’esilio, e specialmente con la confiscazione de’ loro beni. Molte città dell’Oriente furono private dei loro antichi onori, ed obbligate a pagare al tesoro di Severo il quadruplo delle somme che avevano somministrato in servizio di Negronota.
Fino all’ultima decisione della guerra, la crudeltà di Severo fu in qualche modo raffrenata dall’incertezza dell’evento, e dal suo simulato rispetto verso il Senato. Ma la testa di Albino, accompagnata da una lettera minacciante, annunziò ai Romani, ch’egli era risoluto di esterminare tutti gli aderenti dei suoi sventurati competitori. Era irritato dal giusto sospetto, che in se portava, di non esser mai stato caro al Senato, e mascherò la sua antica animosità con il pretesto di nuovi tradimenti scoperti. Perdonò per altro francamente a trentacinque Senatori, accusati di aver favorito il partito di Albino, e si sforzò poi con la sua condotta di convincerli, ch’egli avea perdonate ed obbliate le loro supposte offese. Ma nel tempo stesso condannò altri quarantunonota Senatori, dei quali la Storia ci 1 2