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dell'impero romano cap. v. | 177 |
dubbia condotta di Albino, non nell’assumere il titolo imperiale, lasciò campo ai trattati. Obbliando e le sue proteste di patriottismo, e la gelosia del potere sovrano, egli accettò la precaria dignità di Cesare, come ricompensa della sua fatale neutralità. Finchè la prima contesa non fu decisa, Severo trattò un uomo, di cui avea giurata la morte, con ogni segno di stima e riguardo. Nella lettera medesima, in cui gli annunzia la disfatta di Negro, chiama Albino suo fratello e collega, gl’invia gli affettuosi saluti della sua moglie Giulia e de’ suoi figli; e lo prega a mantenere gli eserciti, e la Repubblica fedeli al lor comune interesse. I latori di questa lettera aveano ordine di presentarsi a quel Cesare con rispetto, chiedere un’udienza privata, ed immergergli i loro pugnali nel cuore1. Fu la congiura scoperta, e il troppo credulo Albino passò alla fine nel Continente, e si preparò ad una disuguale contesa contro il suo rivale, che mosse ad affrontarlo, conducendo un vittorioso esercito di veterani.
Le fatiche militari di Severo non sembrano adeguate alla grandezza delle sue conquiste. Due azioni, l’una vicina all’Elesponto, l’altra negli angusti passi della Cilicia, decisero della sorte di Negro; e le truppe europee conservarono il solito loro ascendente sugli Asiatici effeminati2. La battaglia di Lione, dove combatterono 150,000 Romani3, fu ugualmente fatale ad Albino. Il valore dell’esercito britannico resistè lungamente alla prode disciplina elle legioni illiriche, e ten-