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dell'impero romano cap. v. | 173 |
pe, il cui pentimento era l’effetto dei lor giusti timori. Uno scelto distaccamento dell’armata illirica li circondò colle lancie distese. Non potendo nè fuggir, nè resistere, aspettavano il loro fato con una tacita costernazione. Montò Severo sul tribunale, rimproverò aspramente la loro perfidia e la lor codardia, li licenziò con ignominia come traditori, gli spogliò degli splendidi loro ornamenti, e li bandì sotto pena di morte alla distanza di cento miglia da Roma. Durante questa esecuzione era stato mandato un altro distaccamento ad impadronirsi delle armi e del campo loro, per prevenire le subite conseguenze della loro disperazione1.
Il funerale e la consacrazione di Pertinace fu dipoi celebrata con ogni apparato di lugubre magnificenza2. Il Senato rendè con un piacere malinconico gli ultimi doveri a quel principe eccellente ch’egli avea amato, e che piangeva tuttavia. La mestizia del suo successore era probabilmente meno sincera. Costui pregiava, è vero, le virtù di Pertinace, ma queste virtù avrebber sempre ritenuta la sua ambizione in uno stato privato. Severo recitò la funebre orazione di lui con una eloquenza studiata, e non ostante la sua interna contentezza, affettò un vero dolore; e con questi religiosi officj verso la memoria di Pertinace, persuase alla credula moltitudine, ch’egli era il solo degno di succedergli. Conoscendo per altro che le armi e non le cerimonie poteano sostenere le sue pretensioni all’impero, lasciò Roma dopo trenta giorni, e senza gonfiarsi di una vittoria così facile, si preparò a combattere i suoi rivali più formidabili.