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162 | storia della decadenza |
to e pericoloso possesso di un Impero, che non aveva acquistato col merito, ma comprato con il denaro1.
Ragione di tremare egli aveva. Sopra il trono del Mondo, si trovò senza amici e senza aderenti. Le guardie stesse si vergognavano di servire ad un Principe che avevano accettato per avarizia; nè v’era cittadino, il quale non considerasse con orrore l’innalzamento di lui, come l’ultimo insulto fatto al nome romano. I nobili, il cui grado cospicuo e le ampie ricchezze esigevano le più attente precauzioni, dissimulavano i loro sentimenti, e ricevevano le affettate civiltà dell’Imperatore con un sorriso di compiacenza e con proteste di fedeltà. Ma il popolo, che il numero e l’oscurità rendevan sicuro, lasciava libero il corso a’ suoi trasporti. Per le strade e per le pubbliche piazze di Roma non si udivano che clamori ed imprecazioni. La moltitudine arrabbiata insultava la persona di Giuliano, ne rigettava le liberalità, e consapevole dell’impotenza del proprio risentimento, chiamava ad alta voce le legioni delle frontiere a vendicare la violata maestà dell’Impero romano.
La pubblica scontentezza si sparse tosto dal centro alle frontiere dell’Impero. Gli eserciti della Britannia, della Siria e dell’Illirico deplorarono la morte di Pertinace, in compagnia, e sotto il comando del quale avean fatte tante guerre e tante conquiste. Riceverono con sorpresa, con indignazione e forse con invidia, la strana nuova della pubblica vendita, che i Pretoriani fatto avean dell’Impero e fieramente ricusarono di ratificare il vergognoso accordo. La subita loro ed unanime sol-
- ↑ Dione lib. LXXIII p. 1235. Stor. Aug, p. 61. Ho procurato di conciliare le apparenti contraddizioni di questi Storici.