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160 | storia della decadenza |
Questa infame offerta, eccesso il più insolente della militare licenza, sparse per tutta la città un dolore universale, un senso di vergogna e di sdegno. Arrivonne finalmente il grido agli orecchi di Didio Giuliano, senatore opulento, che insensibile alle pubbliche calamità se ne stava occupato nei piaceri del banchetto1. La sua moglie e la figlia, i suoi liberti ed i suoi parassiti facilmente lo persuasero, ch’era degno del trono, ed instantemente lo scongiurarono ad abbracciare sì fortunata occasione. L’ambizioso vecchio andò in fretta al campo dei pretoriani, dove Sulpiciano era tuttora in trattato con essi, e dal basso del terrapieno principiò a fare dell’offerte. L’indegno mercato era condotto per mezzo di fedeli emissarj, che passavano alternativamente da un candidato all’altro, informando ciascuno dell’offerte del suo rivale. Avea già Sulpiciano promesso un donativo di cinquemila dramme, cioè più di 320 zecchini per soldato, quando Giuliano, avido del trono, salì in un tratto alla somma di seimila dugento cinquanta, ossia più di 400 zecchini. Furono subito aperte le porte al compratore che, dichiarato Imperatore, ricevè il giuramento di fedeltà dai soldati, ne’ quali fu tanta umanità da stipulare che perdonare ei dovesse a Sulpiciano e dimenticare di averlo avuto a competitore.
Era dovere dei pretoriani di eseguire le condizioni della vendita. Posero il lor nuovo sovrano, che servivano e disprezzavano, nel centro delle lor file, lo cir-
- ↑ Sparziano addolcisce quel che v’era di più odioso nel carattere, e nell’elevazione di Giuliano.
Aug. p. 60. Benchè tutti questi Storici Si accordino a dire che fu una vendita pubblica, Erodiano solo afferma che fu proclamata come tale dai soldati.