Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano I.djvu/183

146 storia della decadenza

lustre merito avea fatto obbliare l’oscurità della sua nascita, innalzandolo alle prime dignità dello Stato. Aveva questi successivamente governato la maggior parte delle province dell’Impero; e con la sua fermezza, prudenza, ed integrità si era ugualmente segnalato in tutti i suoi grand’impieghi e militari e civili1. Era egli rimasto allora quasi il solo degli amici o dei ministri di Marco Aurelio; e quando lo svegliarono sull’ultima ora della notte, per dirgli che il cameriere ed il prefetto del Pretorio l’aspettavano alla porta, li ricevè con una intrepida rassegnazione, e li pregò di eseguire gli ordini del loro padrone. Invece della morte gli offrirono il trono del Mondo romano. Egli per qualche tempo diffidò delle loro intenzioni e delle loro pa-

  1. Pertinace era figlio di un legnaiuolo, e nacque in Alba Pompeia nel Piemonte. L’ordine dei suoi impieghi, che Capitolino ci ha conservato, merita di essere riferito, giacchè dà un’idea dei costumi, e del Governo di quel secolo. I. fu Centurione. II, Prefetto di una coorte nella Siria, durante la guerra dei Parti, e nella Britannia; III. ottenne un’Ala, o sia squadrone di cavalleria nella Mesia. IV. Fu Commissario delle provvisioni sulla via Emilia; V. comandò la flotta del Reno; VI. fu Procuratore della Dacia coll’annua paga di circa 3200 zecchini; VII. comandò i veterani di una legione; VII. ottenne il grado di Senatore; IX. di Pretore, X. ed il comando della prima legione nella Rezia, e nel Norico; XI. fu Console verso l’anno 175; XII. accompagnò Marco Aurelio in Oriente; XIII. comandò un’armata sulle rive del Danubio; XIV. fu Legato consolare della Mesia; XV. della Dacia; XVI. della Siria; XVII. della Britannia; XVIII. ebbe la cura delle pubbliche provvisioni a Roma; XIX. fu Proconsole in Affrica, XX. Prefetto della città. Erodiano lib. I p. 48 rende giustizia al suo spirito disinteressato; ma Capitolino che raccoglieva ogni rumor popolare, lo accusa di avere ammassato una gran ricchezza, lasciandosi corrompere.