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dell'impero romano cap. iv. 145

crudeltà gli divenne funesta. Egli che avea versato impunemente il più nobil sangue di Roma, perì, subito che si rendè formidabile a’ suoi proprj domestici. Marzia, la favorita sua concubina, Ecletto suo cameriere, e Leto Prefetto del Pretorio, spaventati dal fato dei loro compagni e predecessori, risolverono di prevenire il colpo, che pendeva ad ogn’ora su i loro capi, o pel furioso capriccio del tiranno, o pel subitaneo sdegno del popolo. Marzia colse l’occasione di presentare al suo amante una tazza di vino, dopo che si era straccato nella caccia delle fiere. Commodo si pose a dormire, ma mentre egli era travagliato dagli effetti del veleno e dell’ubbriachezza, un giovane robusto, e lottatore di professione, entrò nella camera di lui, e senza resistenza lo strangolò. Il corpo fu portato segretamente fuori del palazzo, avanti che in città o alla Corte si avesse il minimo sospetto della morte dell’Imperatore.

Tal fu il destino del figlio di Marco Aurelio, e tanto facile fu il distruggere un tiranno aborrito, il quale abusando indegnamente del suo potere, avea per tredici anni oppressi tanti milioni d’uomini, ognuno dei quali e per valore e per talenti era eguale al Sovrano1.

I congiurati provvidero olle cose loro con quel sangue freddo e con quella celerità, che richiedeva la grandezza dell’impresa. Risoluti di metter sul trono vacante un Imperatore, il cui carattere giustificasse o sostenesse l’azione da loro fatta, elessero Pertinace, allora Prefetto della città, vecchio Senatore consolare, il cui il-

  1. Dione l. LXXII p. 1222. Erodiano l. 1 pag. 43. Stor. Aug. p. 52.