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dell'impero romano cap. iv. | 131 |
frendo di occupare il secondo grado, e gelosa dell’Imperatrice regnante, aveva armato il Sicario contro la vita di suo fratello. Non si era avventurata a comunicare il reo disegno a Claudio Pompeiano, suo secondo marito, Senatore di un merito distinto e di una fedeltà inviolabile; ma, imitatrice dei costumi di Faustina, trovò nella folla de’ suoi amanti alcuni uomini perduti ed ambiziosi, pronti a servire i suoi furori non men che il suo amore. I congiurati provarono il rigor della giustizia, e l’abbandonata principessa fu punita da prima con l’esilio e di poi con la morte1.
Ma le parole dell’assassino restarono profondamente impresse nella mente di Commodo, il quale sempre impaurito concepì uno sdegno implacabile contro l’intero corpo del Senato. Quelli ch’esso avea temuti come importuni ministri gli sembrarono allora segreti nemici. I delatori, che sotto i regni precedenti erano avviliti e quasi dissipati affatto, divennero nuovamente formidabili, appena scoprirono che l’Imperatore desiderava di trovare nel senato e malcontenti e traditori. Questa assemblea, considerata sotto Marco Aurelio come il gran Consiglio della nazione, era composta dei più cospicui Romani; e lo splendore di ogni sorta ben presto divenne delitto. Le ricche ricompense stimolavan lo zelo dei delatori; una rigida virtù era tenuta per una tacita censura della irregolare condotta del principe; gli importanti servigi per una pericolosa superiorità di merito; e l’amicizia del padre faceva sempre incorrere lo sdegno del figlio. Il sospetto teneva luogo di prova, l’accusa di condanna. Il supplizio di un illustre
- ↑ Dione l. LXXII p. 1205. Erodiano lib. I p. 16. Stor. Aug. p. 46.