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dannati ad una perpetua infamia. Per quarant’anni (se si eccettui solamente il breve e dubbioso respiro1 del regno di Vespasiano) Roma gemè sotto una continua tirannide, la quale esterminò le antiche famiglie della Repubblica, e riuscì fatale a quasi ogni virtù, e ad ogni talento che comparve in quello sfortunato periodo.

Sotto il regno di questi mostri la schiavitù dei Romani fu accompagnata da due circostanze particolari; la prima derivata dalla loro antica libertà, l’altra dalle loro estese conquiste, onde si rendè la lor condizione più compiutamente misera che quella delle vittime della tirannia in qualunque altro secolo o paese. Queste cagioni produssero la squisita sensibilità degli oppressi, e l’impossibilità di fuggir dalle mani dell’oppressore.

I. Quando la Persia era governata dai discendenti di Sefi, Principi che con brutal crudeltà lordavano spesso il lor Divano, la mensa, ed il letto col sangue dei lor favoriti, si racconta il detto di un giovane gentiluomo, ch’egli non mai si partiva della presenza del Sultano, senza toccarsi la testa, quasi dubitando se gli stesse ancora sul collo. L’esperienza di ogni giorno poteva giustificare lo scetticismo di Rustano2. Ciò non ostante la spada fatale, sospesa sopra il suo capo con un sol filo, non pare che turbasse il sonno, o alterasse la tranquillità del Persiano. Sapeva che uno sguardo del Monarca-

    abditus, ut ignava animalia, quibus si cibum suggeras, jacent torpentque, praeterita, instantia, futura pari oblivione dimiserat. Atque illum nemore Aricino desidem, et marcentem etc.„ Tacit. Stor. III 36. Sveton. in Vitell. c. 13. Dione Cassio l. LXV p. 1062.

  1. La morte di Elvidio Prisco e della virtuosa Eponina disonorò il regno di Vespasiano.
  2. Viaggio di Chardin nella Persia vol. III p. 293.