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si espose coraggiosamente sulle gelate rive del Danubio a otto campagne d’inverno, il cui rigore tornò finalmente fatale alla sua debole complessione. La sua memoria fu venerata dalla grata posterità, e più d’un secolo dopo la sua morte molti conservavano l’immagine di Marco Antonino, tra quelle dei loro Numi domestici1.

Se si avesse da stabilire nella storia del Mondo il periodo, nel quale la condizione degli uomini sia stata più prospera e felice, si dovrebbe subito nominare quello che corse dalla morte di Domiziano all’avvenimento di Commodo. La vasta estensione del romano Impero venne regolata da un assoluto potere sotto la scorta della virtù e della prudenza. Gli eserciti furono contenuti dalla mano forte ma moderata di quattro successivi Imperatori, il carattere e l’autorità dei quali esigevano involontario rispetto. Il sistema dell’amministrazione civile fu gelosamente conservato da Nerva, da Traiano, da Adriano e dagli Antonini, i quali si dilettavano della immagine della libertà, e si riguardavano con compiacenza come i ministri e i custodi delle leggi. Principi tali sarebbero stati degni di ristabilir la Repubblica, se i Romani dei loro tempi fossero stati capaci di godere di una ragionevole libertà.

Le fatiche di questi Principi furon premiate dalla grandissima ricompensa che inseparabilmente accompagnava i loro successi, dall’onesto orgoglio della virtù, e dal puro e sommo diletto di vedere la felicità universale, della quale essi eran gli autori. Una riflessione, giusta ma trista, amareggiava però il più nobile dei piaceri umani; e doveano spesso ricordarsi quanto

  1. Stor. August. in Marco Antonin. c. 18.