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dell'impero romano cap. iii. 111

sugli eserciti1. Così Vespasiano soggiogò l’anima generosa del suo figlio maggiore. Tito era adorato dalle legioni orientali, che aveano sotto il suo comando terminato di conquistar la Giudea. Il suo potere era temuto, e siccome le sue virtù erano coperte dall’intemperanza della gioventù, sì sospettava de’ suoi disegni. In vece di dare orecchio a tali ingiusti sospetti, il prudente Monarca associò Tito a tutti i poteri dell’Imperial dignità; e il grato figlio sempre si mostrò ministro umile e fedele di un padre così indulgente2.

Il buon senso di Vespasiano l’impegnò veramente ad abbracciare ogni mezzo di assodare la sua elevazione recente e precaria. Il giuramento militare, e la fedeltà delle truppe erano state consacrato dall’uso di cent’anni al nome e alla famiglia dei Cesari; e benchè questa fosse stata continuata soltanto con il fittizio rito della adozione, i Romani però ancor riverivano nella persona di Nerone il nipote di Germanico, ed il successore diretto di Augusto. Non senza ripugnanza e rimorso si erano i Pretoriani indotti ad abbandonare la causa del tiranno3. Le rapide cadute di Galba, di Ottone, e di Vitellio insegnarono agli eserciti a riguardare gl’Imperatori come creature della lor volontà, ed istrumenti della loro licenza. Vespasiano era di bassa estrazione; l’avo di lui era stato soldato comune, ed il padre avea un piccolo impiego nelle finanze4. Il

  1. Velleio Patercolo l. II cap. 121. Svetonio in Tiberio cap. 20.
  2. Svetonio in Tit. cap 6. Plin. nella prefazione alla Stor. Nat.
  3. Questa idea è spesso e fortemente inculcata da Tacito Ved. Stor. I 5 16 II 76.
  4. L’Imp. Vespasiano col suo solito buon senso si ride