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104 storia della decadenza

tarono le vinte nazioni nell’arte di adulare; ed il genio imperioso del primo dei Cesari consentì troppo facilmente ad accettare in vita un posto tra le deità tutelari di Roma. Il carattere più moderato del suo successore si guardò da questa pericolosa ambizione, non mai più di poi ravvivata fuor che dalla follia di Caligola e di Domiziano. Augusto permise, è vero, ad alcune città provinciali di erigere i tempj in suo onore, a condizione però che insieme col Sovrano fosse Roma onorata dal loro culto. Egli tollerava una superstizione particolare, di cui egli poteva esser l’oggetto1; ma si contentò di esser venerato dal Senato e dal popolo nel suo umano carattere, e saggiamente lasciò al suo successore la cura della sua pubblica apoteosi. Quindi s’introdusse il regolar costume di porre per solenne decreto del Senato nel numero degli Dei ogni Imperatore estinto, il quale nè in vita nè in morte si fosse mostrato tiranno; e le cerimonie dell’apoteosi si mescevano colla pompa del suo funerale. Questa legal profanazione, in apparenza stolta, e così contraria alle nostre massime rigorose, fu ricevuta quasi senza alcuna mormorazione2, perchè conveniente alla natura del politeismo, ed accettata però come istituzione di politica e non di religione. Sarebbe un degradar le virtù degli Antonini, paragonandole con i vizj di Ercole o di Giove. Lo stesso carattere di Cesare o di Augusto era di gran lunga

  1. Jurandasque tuum per nomen ponimus aras„ dice Orazio all’Imperatore istesso, e Orazio conosceva bene la Corte di Augusto.
  2. Vedi Cicerone Philipp. I 16; Giuliano in Caesaribus.

    Inque Deum templis jurabit Roma per umbras

    esclama Lucano sdegnato. Ma questa indignazione è originata più dal patriottismo, che dalla devozione.