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dell'impero romano cap. iii. 103

affettavano di confondersi con i loro sudditi, e mantenevan con essi un’egual corrispondenza di visite e di trattamenti. Il loro vestire, la loro tavola, il loro palazzo non eran diversi da quelli di un Senatore opulento; ed il treno loro, sebbene splendido e numeroso, era interamente composto dei loro schiavi domestici, e liberti1. Augusto o Traiano si sarebbero vergognati d’impiegar il più vile dei Romani in que’ bassi uffizj, che nella famiglia e nella camera di un Monarca limitato dalle leggi, sono adesso ansiosamente cercati dai più superbi signori della Gran Brettagna.

L’apoteosi è il solo caso2 in cui gli Imperatori si dipartissero dalla solita loro prudenza o modestia. I Greci dell’Asia inventarono i primi per li successori di Alessandro questa servile ed empia adulazione, che presto dai Re fu trasferita ai governatori dell’Asia; ed i magistrati romani furono spesso adorati come divinità provinciali con la pompa degli altari e dei tempj, delle feste, dei sagrifizj3. Era naturale che gl’Imperatori non ricusassero quel che avevano accettato i Proconsoli; e gli onori divini, che le province rendettero agli uni e agli altri, mostravano piuttosto il dispotismo che la servitù di Roma. Ma ben tosto i vincitori imi-

  1. Un Principe debole sarà sempre governato dai suoi domestici. La potenza degli schiavi aggravò la vergogna dei Romani, ed i Senatori fecer la corte a un Pallante, e ad un Narciso. Può accadere che un favorito moderno sia un gentiluomo.
  2. Vedi un Tratt. di Van-Dale De consacrat. Principum. Sarebbe più facile per me il copiare, di quel che sia il verificare le citazioni di questo dotto Olandese.
  3. Ved. una Dissert. dell’Ab. di Mongault nel I vol. della Accad. dell’Iscrizioni.