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96 | storia della decadenza |
Sei giorni dopo che Augusto fu forzato ad accettare un dono sì liberale, volle con un facil sacrifizio appagare la vanità dei Senatori. Rappresentò che gli avevano esteso il potere anche al di là del termine necessario all’infelice condizione dei tempi. Essi non gli avevan permesso di ricusare il faticoso comando degli eserciti e delle frontiere, ma insistè che se gli permettesse di rimettere le province più pacifiche e sicure alla dolce amministrazione del civil magistrato. Nella divisione delle province, Augusto provvide alla sua propria potenza, ed alla dignità della Repubblica. I Proconsoli del Senato, e particolarmente quelli dell’Asia, della Grecia e dell’Affrica gioivano una distinzione più onorevole dei Luogotenenti imperiali, che comandavano nella Gallia, o nella Siria. I primi erano accompagnati dai littori, e gli altri dai soldati. Si fece una legge che dovunque l’Imperatore fosse presente, restasse sospesa l’ordinaria giurisdizione del governatore; s’introdusse l’uso che le nuove conquiste appartenessero alla dote imperiale, e presto si scoprì che l’autorità del Principe, l’epiteto favorito di Augusto, era la medesima in ogni parte dell’Impero.
Per ricompensa di questa concessione immaginaria, ottenne Augusto un importante privilegio, che lo rendè padrone di Roma e dell’Italia. Con pericolosa eccezione alle antiche massime, egli fu autorizzato a conservare il suo comando militare, sostenuto da un numeroso corpo di guardie, anche in tempo di pace e nel cuore della capitale. Il suo comando veramente era limitato sopra i cittadini obbligati al servizio dal giuramento militare; ma tale era l’inclinazione dei Romani alla servitù, che i magistrati, i Senatori ed i Cavalieri prestarono volontariamente il giuramento, finchè l’omag-