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partecipare con essi alla felicità, che avea procurata alla sua patria1„.

Tacito solo (se Tacito fosse stato presente) avrebbe potuto descrivere le varie agitazioni del Senato, i nascosti sentimenti degli uni, ed il zelo affettato degli altri. Era pericoloso il fidarsi all’espressioni di Augusto, e più pericoloso il mostrare di non crederle sincere. I vantaggi respettivi della Monarchia o della Repubblica hanno spesso tenuti divisi gli speculativi ricercatori; la grandezza presente dello Stato romano, la corruzione dei costumi, e la licenza dei soldati somministravano nuovi argomenti ai settatori della Monarchia; e queste massime generali di governo si trovavano ravvolte con le speranze e co’ timori di ciaschedun privato. In mezzo a tal confusione di sentimenti, la risposta del Senato fu unanime e decisiva: ricusarono di accettare la dimissione di Augusto; lo supplicarono di non abbandonar la Repubblica ch’egli aveva salvata. Dopo una decente resistenza, l’accorto tiranno si sottomise agli ordini del Senato, ed acconsentì a ricevere il governo delle province, ed il comando generale degli eserciti romani sotto i ben conosciuti nomi di Proconsole e d’Imperatore2. Ma li volle ricevere per soli dieci anni. Sperava, diss’egli, che anche avanti questo

  1. Dione Cassio l. LIII p. 698 ci dà una prolissa e gonfia parlata fatta in questa grande occasione. Io ho preso da Svetonio e da Tacito la espressioni naturali ad Augusto.
  2. Imperator (di cui noi abbiam fatto Imperatore) al tempo della Repubblica non significava altro che Generale, ed era un titolo sul campo di battaglia solennemente dai soldati accordato al vittorioso lor Capo. Quando i romani Imperatori lo assumevano in quel senso, lo ponevano dopo il lor nome, e notavano quante volte lo avevano preso.