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dell'impero romano cap. iii. 91

quali Augusto, non più tiranno, ma padre si mostrò della patria. Fu egli eletto Censore, e di concerto col suo fedele Agrippa, esaminò la lista dei Senatori, ne scacciò alcuni membri, i vizj o l’ostinazione dei quali esigevano un pubblico esempio, ne indusse quasi dugento a prevenire con un volontario ritiro la vergogna dell’espulsione, ordinò che non potesse essere Senatore chi non possedeva quasi ventimila zecchini, creò un numero sufficiente di famiglie patrizie, ed accettò il titolo decoroso di Principe del Senato, che dai Censori era sempre stato conceduto al cittadino più illustre per dignità e per servizj1. Ma rendendo così al Senato la sua dignità, ne distruggeva l’indipendenza. I principj di una libera costituzione sono irrevocabilmente perduti, quando la potestà legislativa è creata dalla potestà esecutiva.

Dinanzi a questa adunanza, così formata e disposta, Augusto recitò un discorso studiato, nel quale copriva la sua ambizione col velo del patriottismo. „Deplorava, anzi scusava la sua passata condotta: la pietà filiale gli aveva messe le armi in mano per vendicare un padre ucciso; la sua umanità era stata talvolta obbligata a cedere alle leggi crudeli della necessità, ed a far lega forzata con due indegni colleghi; sinchè visse Antonio, la Repubblica l’avea obbligato a non abbandonarlo in balìa di un Romano degenerato, e di una barbara Regina; era al presente in libertà di soddisfare al suo dovere ed alla sua inclinazione. Rendeva solennemente al Senato ed al popolo i loro antichi diritti e desiderava soltanto di mescolarsi nella folla de’ suoi concittadini, e di

  1. Dione Cassio l. LII p. 693, Svetonio in August. c. 55.