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verde, i letti bianchi si allineano, col loro carico di sofferenze, di ricordi, di desideri, di inquietudini. Qualcuno chiama piano, qualcuno tosse, qualcuno geme, qualcuno sospira. Di fuori geme e sospira il vento. Ogni tanto un rombo di treno che passa.... Va in su, recando soldati al fronte? Viene in giù, con un altro carico di feriti? Andiate o torniate, sull’aspre vie lungo le quali vi ha chiamati il dovere, salve, o fratelli!
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Comincia il sonno, il freddo delle ore antelucane. Vado a prendere dalla mia borsa la boccetta del caffè, e lo metto a riscaldare in cucinetta, dove si fa bollire il brodo e il latte per quelli della dieta austera. Poi facciamo la distribuzione.
Poi il sonno prende anche i più sofferenti. Il silenzio è ora quasi assoluto. Mi pare che il capo di suor Serena vada leggermente piegandosi. Io ho un momento di assenza.
Chi ci ha chiamate? D’un tratto ci troviamo entrambe al letto di Failli. Egli dorme; ma la fasciatura è arrossata. Con angoscia caccio la mano in tasca per le forbici, e aiuto la suora, che ha già cominciato a tagliare. Fuoresce sangue venoso. Nel mio smarrimento, penso al laccio. Ma la rottura è troppo alta, e la suora, pronta, preme la vena giugulare.
Il ferito s’è destato tra smarrito e svenuto. Ma l’emorragia è già fermata. Presto i drenaggi e il resto, per rifasciare. Presto la siringa, il cordiale. In dieci minuti il ferito riprende. Pare aver fatto un brutto sogno.