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nell’ambiente, di solito depresso e pigro, di una sala d’ospedale.
In principio, notando il morale non molto elevato dei nostri infermi, provavo un senso di gran pena. Ma, un po’ alla volta, ho capito che conviene, in un modo o nell’altro, alimentare in essi il sacro fuoco, che li sostenga fra tanti sacrifici.
Non sanno davvero quello che si fanno coloro, (per lo più son donne) i quali non sanno che compiangere i soldati, sia che passino per andare al fronte, sia che tornino, feriti o malati, senza mai saper unire, al naturale e giusto sentimento di pena per i pericoli e le sofferenze loro, il pensiero della causa che son chiamati a servire.
Mi dicono (per verità io non ne ho intese mai, poichè qui siamo tutte unanimi nel pensiero e nel sentimento), che vi son perfino delle infermiere e delle visitatrici d’ospedale, le quali esprimono ai soldati l’augurio che il male vada in lungo, che vengano riformati, e perfino si fanno sentire a maledire la nostra guerra e quelli che l’hanno voluta.
Ma non capiscono, codeste, che commettono un delitto? E non solo verso la patria e la causa della giustizia per tutti i popoli, ma più ancora verso i nostri soldati, che non meritano, no, d’essere depressi e sconfortati e demoralizzati. Piuttosto che fare, negli ospedali o fuori, un lavoro simile, vorrei la morte.
Oh! soldati nostri, possiate sempre trovare, al fronte, e nelle retrovie, e al paese vostro, chi vi aiuti a conoscere e a sentire la verità, a fare il vostro dovere sino