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ne fra qualche anno, di salvare il suo onore. E aggiunsi: «Tutto questo ve l’avran detto i vostri ufficiali, e anche i vostri cappellani. Ma forse non ancora abbastanza. Perciò è bene si scrivano dei libri, per far meglio capire ai soldati il perchè dei sacrifici che vengono loro imposti: perchè così si portano maggiormente da valorosi, e fanno tutto più volentieri, da veri coscienti. Non è vero?»
Il mio interlocutore non replicò, anzi disse piano: «E’ vero!» E il secondo al quale avevo dato l’altra copia del libretto, e che leggeva sdraiato sul suo letto, in fondo alla sala, saltò su: «Eh! quanti lamenti si risparmierebbero, signori, se le cose ce le spiegassero sempre per bene...»
Allora sorsero a parlare altri; chi ricordando un discorso del signor Capitano, chi una predica del Tenente cappellano, chi un fatto d’armi sul Sei Busi, chi le avanzate sul Sabotino, chi le azioni sul Podgora, chi la presa di Gorizia, chi la lotta sul S. Marco e sul S. Gabriele: chi esprimeva voti per la presa della tal quota, chi litigava a proposito del tal reggimento e del tal altro, nel combattimento della Vertoibizza. Un po’ alla volta entrarono nella discussione quasi tutti gli altri. In breve fu un tale incrociarsi dei nomi che si leggono nei comunicati, delle date più note, di giudizi e di pronostici contraddittorî, che pareva il finimondo.
Insomma la scintilla era messa alla miccia; e io, lungi dal pensare a frenare quei discorsi proibiti, (che ormai, per la confusione delle voci, neanche si capivano più) godevo di quegli echi della nostra guerra, vibranti