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e far togliere dal letto il calorifero. Tutti gli altri infermi sono in attesa, quasi in apprensione. «L’endòrmia», dicono i veneti. La barella è stata posta a terra; s’innalza il piano fra i parapetti, le molle non s’incontrano; si insiste con ansia. Finalmente è fermato; e Beppone può sollevare il corpo inerte e accostarlo al letto. Insieme lo posiamo piano, col capo a livello. Il volto congestionato, dagli occhi torbidi e smarriti, posa sul lenzuolo; dalle labbra cominciano ad uscire le bolle della salivazione. Uno dei soldati, che sà, si offre per star lì ad asciugare la bocca del compagno. Gli altri si avvicinano a guardarlo incuriositi, tanto più che è un nuovo.
«Quando si sveglia salutatelo, ragazzi: è un valoroso».
Li 21. — Oggi c’era abbasso, in uno dei camerini, un alcoolizzato che urlava come un ossesso. I soldati che tornavano in su dalla passeggiata nel cortile, si chiedevano che cosa fossero quelle grida. «E’ uno che ha il delirium tremens, il delirio dei bevitori. Serva di avvertimento a voialtri giovani, chè non vi lasciate prendere da quel vizio». — «Oh! signorina, rispose uno, i mali che vengono a stare in trincea son peggio di quello lì!» — «No, replicai, non è vero. Ma ancorchè fosse vero, il male che viene dai vizi fa disonore, e i mali che pigliate in trincea vi fanno onore, onore per tutta la vita».
Mi avevano ascoltata tutti, compreso il mio contraddittore, con aria di compiacenza. Se si sta attente a cogliere tutte le occasioni per parlare al fondo delle loro anime, è certo che si persuadono, almeno i migliori.
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