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pandosi di quelli che gli segnaliamo, (sono stati tutti medicati al mattino a Cormons), fa qualche ordinazione, dice qualche buona parola. I soldati lo guardano, forse meravigliati di trovare un medico borghese, e chissà che cosa pensano d’ingenuo, guardando il suo viso di bontà? Dopo, più d’uno chiede, con occhi di fiducia: «La danno, qui, la licenza?»
Intanto le suore girano col brodo, col latte, con le uova, il cappellano passa dall’uno all’altro confortando, gli infermieri cominciano a mettere i termometri. Uno, sfinito, ha bisogno di un’iniezione di canfora. Noi, dalle tasche dei cappotti, delle giubbe, dei pantaloni, — squallida roba stinta, sudicia, talora insanguinata, gualcita, spesso lacera, che testimonia delle intemperie e dei lunghi strapazzi della trincea — , togliamo tutti i poveri tesori dei soldati: il portamonete, il portafogli, qualche volta l’orologio, la cartella clinica, che i soldati chiamano la base. Ma sopratutto si danno pensiero del portafogli: «Sorella, le mie cartoline!» Poi si caccia tutto nel rispettivo sacco, alla rinfusa, si lega col cartellino che porta il numero del letto, e si trascina via.
Poi si fa il giro dei letti, per vedere se tutto è in ordine, per sentire se qualcuno ha qualche desiderio da esprimere. Per lo più si accontentano della gioia di trovarsi in un letto, dopo mesi e mesi di trincea.
Buona notte, figliuoli, buona notte. E... grazie!
Li 25. — Stamane ero impaziente di vedere come stessero i nostri nuovi arrivati. Quando entrai, i più dormivano ancora o erano insonnoliti. Trascritte dalle ta-