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Questi ultimi, per buona ventura di Teodoro, colle eccentriche aspirazioni del dialetto e colla manifesta predilezione per certi commestibili, rivelano la loro origine bergamasca. Teodoro, vedendosi circondato da tanti compaesani, trae dal petto un largo sospiro, e si dispone a pranzare di miglior appetito.
— I baggiani non san fare la polenta! — grida l'uno in tono dispregiativo.
— Nè tampoco arrostire gli uccelli, risponde un altro.
— Anche in coteste inezie, — soggiunge un terzo a voce bassa, — si scorge l'influenza fatale di un governo che pose ogni opera nel tener divisi gli Italiani.... Ma... Viva l'arcivescovo Romilli...!
— Viva Pio IX! — rispondono sommessamente altre voci.
Frattanto il cameriere mette dinanzi a Teodoro mezza dozzina di piatti e un boccale di vino, poi si allontana rapidamente per servire gli altri commensali.
— È tutta per me questa roba! — grida il campagnuolo, rimirando con occhi atterriti la ricca imbandigione... — Io preferirei un tozzo di polenta... e un bicchier d'acqua....
— Scelga ciò che meglio le aggrada, e ringrazii la Provvidenza che l'hanno servito sì tosto, — brontola il vicino di Teodoro sorridendo maliziosamente. — E beva un sorso di vino... perocchè non sono più tempi da rinfreschi codesti.... Fuoco! fuoco ci vuole e non acqua... acciò la bomba scoppii più presto!
Teodoro non osa profferire veruna obiezione; egli intinge la forchetta in un piatto di fritelle, ma recandosi al labbro il ghiotto boccone, non può a meno di sclamare: «Che direbbe mio zio don Dionigi se mi vedesse mangiare tali ghiottonerie!.... Egli che mi ha tanto raccomandato la sobrietà e l'economia!»
Il rumore della conversazione va sempre crescendo; ma gli epigrammi, le arguzie, le fatidiche arringhe dei circostanti, tuttochè espresse nel più puro idioma bergamasco, non sono comprese dall'ingenuo montanaro. «O questi signori sono pazzi, — conchiude egli dopo aver ascoltato lunga pezza gli strani discorsi, — o ch'io ho lasciato il cervello a Capizzone.»