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a morte.

Vi erano quattro letti, o piuttosto quattro pagliericci malamente dissimulati da certi drappi senza colore che non erano lenzuoli, non erano coperte, e somigliavano a grossi sacchi di tela.

Su ciascuno di quei letti era distesa una forma umana.

Un lumicino ad olio affisso alla parete e la lanterna del cappellano erano la sola luce di quelle tenebre.

All'entrare dei nuovi ospiti, uno dei feriti, levando la testa dal cappotto che gli serviva da guanciale, domandò con voce fioca: «ebbene? com'è finita la festa?»

— Ampola ha ceduto — rispose la Guida senza volgere il capo.

— E il caporale De Santi?...

— Vivo!

— Meno male!... Domani gli darò mie notizie.

Un altro, che pareva più estenuato, senza muoversi dalla sua posizione, fece questa domanda: è dei nostri il ferito?

— No! gli è un capitano tedesco!...

— Un tedesco! — esclamò il ferito — badate che l'oste non sappia nulla... Avete capito? — fate attenzione a Gregorio!...

E la voce si tacque.

Il cappellano e la Guida, intenti a fasciare le ferite del capitano, non compresero quelle parole.


IV.

— Convien scendere a Storo in cerca di un chirurgo, disse il giovine sergente delle Guide. Sarà bene che vada io stesso... Il ferito è in buone mani... è inutile che io vi raccomandi di trattarlo come fosse uno dei nostri.

— Tutti gli uomini sono fratelli — rispose il prete — e non potè astenersi dal soggiungere: per scannarsi l'un l'altro, salvo poi a prestarsi vicendevole aiuto quando si sono scannati!

Il sergente delle Guide uscì dalla stanza.

Il tedesco pareva assopito. — Don Remondo