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quei poveri prigionieri stanchi ed attoniti. La monotona cadenza dei passi e qualche favilla di zigaro accennava che quei lugubri viaggiatori erano individui della specie umana. La retroguardia si formava di cinque carrette, sulle quali, affratellati dalla sorte comune, parevano abbracciarsi i feriti dell'uno e dell'altro campo.

— Come va, capitano? chiese una delle Guide, accostandosi col suo cavallo ad una delle carrette di ambulanza.

Un lamentevole singulto fu l'unica risposta.

— A momenti giungeremo a Storo, soggiunse la Guida.

E il ferito, riprendendo coraggio da quella promessa — Vi prego, disse, di ricoverarmi nella prima casa che troverete, foss'anche un tugurio... una stalla... Io sento che poche ore mi restano da vivere...

— Coraggio, capitano!... la vostra volontà sarà fatta... Vedo dei lumi a poca distanza... Io corro a prepararvi l'alloggio.

Ciò detto la Guida spronò il suo cavallo e in pochi minuti raggiunse il villaggio.


III.

Al fermarsi della cavalcatura, sulla porta di una rustica casuccia apparve un uomo di atletiche forme e vestito d'una singolare divisa. Portava un cappello di grosso panno nero, quale usano i contadini dell'alta Lombardia; fra i suoi calzoni allacciati sotto il ginocchio da due rami di salice e le sue ghette da militare si espandevano due polpe adipose coperte da una maglia nera. Un soprabito lungo, sbottonato, che forse in altri tempi era una veste talare, lasciava scoperta sul davanti una camicia di color scarlatto trapunta di stelle d'oro. — Don Remondo, il papa di Val d'Intelvi, venuto al campo per combattere e per porgere ai morenti i conforti della religione, si era fornito a proprie spese un abbigliamento che simboleggiava di qualche modo il suo duplice ministero. Egli s'era fatto una camicia garibaldina coi re