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si, ci riempiono di ammirazione. Nel poema, nel libro, noi non vediamo che dei giganti e degli eroi. — Portatevi sul campo, nella notte che succede alla battaglia di San Martino o di Custoza — e urtando nei cadaveri, respirando il singulto dei morenti, palpando le viscere de' fratelli nuotanti nel sangue, la vostra esaltazione verrà meno. I vostri nervi si incresperanno, i capelli vi si drizzeranno sulla fronte. Inorridirete di appartenere alla razza umana; maledirete il giorno in cui, poeti, dettaste delle energiche rime per spingere alla morte tanta giovinezza di fratelli, il giorno in cui il vostro inno clamoroso e vivace fece accorrere tante nobili vite verso la tomba.

Patria — indipendenza — libertà! Sacri nomi e sacri doveri. Nomi che domandano delle vittime, doveri che impongono sacrifizii di sangue. Non è dato a noi di eliminare questa terribile necessità della lotta brutale, nè speriamo che in un avvenire prossimo o lontano i principii della ragione e del diritto abbiano a predominare nel mondo senza violenza e senza massacri. L'umanità segue le sue fasi di trasformazione, ma gli istinti dell'uomo non mutano. Pure, mentre riconosciamo necessario e provvidenziale questo istinto che ci obbliga alla vicendevole distruzione, permetteteci almeno di deplorarlo e di esecrarlo al cospetto di mille cadaveri squarciati che nuotano nel sangue.


II.

Quella notte — la notte del 19 luglio — un lugubre drappello scendeva per la vallata. Erano tedeschi usciti dal forte di Ampola. La fortezza aveva ceduto alla prepotenza delle nostre artiglierie, e mentre i garibaldini vincitori bivaccavano sul baluardo espugnato, i prigionieri e i feriti, scortati da poche Guide, erano condotti al villaggio di Storo. La valle era tetra. — Quei soldati, scendendo pel sentiero tortuoso, parevano una processione di spettri. La voce dei garibaldini, che cantavano sulle ripide alture per ingannare l'appetito, giungeva sinistramente fioca all'orecchio di