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zione scettica e letargica si era improvvisamente scossa. Nelle fisonomie brillava la luce. I fanciulli e le donne — questa eletta porzione della società che è la più ingenua e la più impressionabile — rivelavano nell'incesso, nel movimento concitato della persona, un immenso tripudio. Il popolo scamiciato, il popolo vestito di velluto si arrampicava sulle muraglie, invadeva i capitelli delle colonne. C'erano dei nani che parevano giganti, dei giganti che parevano pigmei. Quella moltitudine che si era precipitata nella sala di aspetto, che si era distesa per oltre mezzo miglio lungo il margine della ferrovia, all'approssimarsi dell'ora desiderata divenne immobile e muta. Quegli ultimi minuti di aspettazione parvero secoli.
Non mai il fischio di una locomotiva parlò più eloquente alla folla. Tutti i volti impallidirono. I fanciulli giunsero le mani — qualcuno cadde in ginocchio e fece il segno della croce.
Al silenzio, all'immobilità successe un uragano di grida, una agitazione indescrivibile. Il convoglio aveva rallentata la corsa, e tutti gli sguardi si erano pasciuti di una sublime visione. Garibaldi avea reso il saluto alla folla e ciascuno si era vivificato.
Prima ancora che il convoglio si arrestasse, i più enfatici erano saliti sui gradini e sui tetti delle carrozze. Il vagone occupato da Garibaldi e da' suoi intimi fu preso d'assalto con impeto formidabile.
— Silenzio! gridavano mille voci; lasciatelo parlar lui!... Sentiamo cosa dice lui... Ma altre migliaia di voci non cessavano di urlare a tutta possa: «viva Garibaldi! viva l'Italia! viva la guerra!»
A un tratto la fisonomia di Garibaldi da ilare e benigna divenne radiante. I suoi occhi parevano salutare al di là della folla qualche persona amica e desiderata.
In un lampo tutte le teste si volsero.
— Fate largo! fate largo! tuonò il generale levandosi in piedi — ecco qualcuno che non perde il suo tempo in vane dimostrazioni... No: non è tempo di parole codesto!... l'Italia domanda soldati e carabine!
Tre giovani in camicia rossa si apersero