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rlo a discendere dalla carrozza, mentre Edoardo, dall'altro lato, stendeva la mano ad Enrichetta colla timidità di un collegiale. — I due amanti si erano già ricambiati da lungi un saluto pieno di tenerezza, ma pure nei loro sguardi non brillava quella gioja serena, quella felicità espansiva, che ordinariamente trabocca dal volto di due giovani innamorati al momento in cui deve decidersi della loro unione indissolubile. — La fronte di Edoardo era ombrata da una ruga quasi impercettibile — gli occhi della fanciulla parevano approfondirsi sotto le palpebre folte. Quando la signora Serafina mosse incontro alla giovane per introdurla nella sala, Edoardo trasse dal petto un lungo sospiro, come se l'intervento di sua madre lo avesse liberato da un grave imbarazzo. Il pranzo non fu molto gaio. Il signor De Mauro sostenne quasi da solo l'incarico della conversazione, non risparmiando di lanciare tratto tratto degli epigrammi all'indirizzo del marchese, il quale divorava a due ganascie colla voracità plebea di un patrizio in bolletta. La mensa fu servita lautamente; la cucina del milionario, con quello sfoggio insolente di prodigalità, perorava cinicamente in favore del positivismo moderno.

Il marchese, verso la fine del pranzo, avea le guancie rifiorite di due rose color pavonazzo — i suoi occhi bigi ridevano e piangevano ad un tempo. — La signora Serafina contemplava la fanciulla con uno sguardo di materna amorevolezza.

— Orsù! disse il signor De Mauro levandosi in piedi per sturare di sua mano una bottiglia di sciampagna — beviamo il bicchiere della alleanza! facciamo un brindisi alla salute... dei nostri figli... e dei figli dei nostri figli, signor marchese!

Erano le prime parole proferite a quella tavola, che suonassero così apertamente allusive al matrimonio di Edoardo e di Enrichetta. I due giovani trasalirono. Edoardo levò il bicchiere spumante, e toccando leggermente a quello della sua fidanzata, con voce commossa si fece ad esclamare: «Io bevo innanzi tutto alla salute della patria, alla fortuna ed alla gloria delle armi italiane!»