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Due Preti.
I.
Nell'anno 1839 io compieva, per volere dei parenti, il mio corso di umanità nel Seminario della Diocesi Ambrosiana.
Una sera, nell'ultima ora destinata alla ricreazione, io passeggiava sotto i portici in compagnia di un amico dilettissimo.
Sì all'uno che all'altro la disciplina di san Carlo era grave. Ci legava simpatia di carattere e comunanza di dolori. Perseguitati dai superiori, reietti dai colleghi, l'amicizia era per noi una necessità, più che un bisogno del cuore.
I nostri colloqui, mestissimi sempre, di giorno in giorno erano divenuti più famigliari ed espansivi; in breve, l'uno per l'altro non avemmo più segreti. Le angoscie del presente e le aspirazioni dell'avvenire si traducevano negli intimi sfoghi delle anime, con quel linguaggio che negli anni della prima giovinezza dà all'amicizia i caratteri dell'amore.
Quella sera entrambi eravamo più mesti che mai.
Due volte compimmo il giro de' portici senza dir motto; poi l'amico aprì la conversazione con parole che mi trafissero l'anima.
— Oh! io sono stanco della vita.
— Stanco della vita? — risposi tosto, guardando