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omi il cappello... me gli accosto di fianco, e gli dico: buon dì, signoria! — Quei due campioni balzano lontano tre passi, e subito fanno l'atto di cavar fuori le sciabole... «Farcflutter... staiffer! crazzer!...» sa Dio cosa bestemmiavano quei due mostri!... — e mi vengono addosso che sembrano due jene! «Ma il signore sa chi sono... l'oste di Val d'Intelvi... Gregorio... il padre della Martina...» — «Tartaifel... ludro... flucter! porco talliano... andar tua strada... o far fucilare sul momento!» — E poi tutti e due a bestemmiare in tedesco e battere lo squadrone che volevano subissarmi! — Ah! sono stato un gran vile... una carogna! Ma chi poteva aspettarsi...? so io cosa è avvenuto di me in quel momento?... Non ero più io... Quella piazza... quel castello... tutti quei soldati... non si vedeva un solo cristiano nè dappresso nè in distanza... Mi sono lasciato avvilire... E poi... cosa sarebbe avvenuto di quelle due povere donne...? Mia moglie ammalata... e l'altra!... Iddio mi ha tenuto la mano... e ve lo giuro, don Remondo, quei due moscardini di gesso avrei potuto mangiarmeli come due paste sfogliate... e li avrei digeriti in un attimo!... Invece... mi è rimasto un gruppo qui dentro... qualche cosa che non ha mai voluto andar giù... Ma prima di morire, voglio farmela passare, perdio!
VI.
Gregorio vuotò un bicchiere. — Don Remondo mormorò delle parole che non erano una giaculatoria da prete.
— Avete mai provato colla vostra bacchetta a scacciare un grosso ragno dal suo telaio? — Se il ragno cade a terra, subito si raggruppa, diventa piccino, si perde fra i sassi e rimane immobile fino a quando non lo abbiate perduto di vista. — Così ho dovuto far io, così ho fatto in quell'occasione, — come non avessero parlato con me... come se nulla ci fosse stato... Restai là parecchi minuti... cogli occhi a terra... fino a che, dopo essersi sfogati con delle parole da far raccapricciare le anime del purgatorio, quei due cani si fu