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— soggiunge il Trigambi. — Al primo colpo di cannone io sarò tra le file dei combattenti...

— Io non desidero che la morte sul campo di battaglia, — prosegue il Nebbia, levandosi in piedi.

— Il mio petto anela ad una palla, come l'assetato alle fresche sorgenti.

— Morte ai tiranni!

— Morte ai nemici d'Italia! —

I due colleghi brandiscono le forchette, e paiono sul punto di scagliarsi contro le orde create dalla loro immaginazione. La pendola suona otto ore.... Io mi levo, fingendomi commosso di entusiasmo, vado a dischiudere le imposte del balcone, e immediatamente uno... due... tre... spari s'odono al piè della casa.

— Corpo di mille diavoli! — esclama il Lanfranconi — Questo è un combattimento a fuoco vivo...! —

Io mi ritraggo dal balcone. Il Nebbia ed il Trigambi han deposte le forchette... e sono ripiombati sulle loro scranne, col pallore nel volto.

— Presto! qualcuno scenda abbasso! — grida il Lanfranconi. — Che diavolo sarà accaduto...? —

Nessuno si muove.

Ifigenia finge cadere svenuta, il padre si affretta a soccorrerla, e intanto ripete con voce alterata:

— Signor Nebbia... signor Trigambi... a voi!... Correte là abbasso... Non vorrei che qualche male intenzionato... Ohimè! la mia povera Ifigenia si muore dalla paura! —

Io afferro per le falde dell'abito il domestico del Lanfranconi, il quale tenta invano di schermirsi, e lo obbligo ad accompagnarmi col lume in fondo alla scala. Il Nebbia ed il Trigambi sembrano impiombati sulla seggiola.

Il domestico, giunto a piè della scala, si arresta riparandosi dietro l'uscio; io corro fuori, scambio con Eugenio poche parole, indi torno con aria affannata presso il signor Lanfranconi.

— Ebbene? quali notizie? che c'è di nuovo laggiù?

— Presto! — rispondo io... — Avete degli schioppi?... Una banda di reazionari capitanati da un ex-pol