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— Ebbene?
— Essa pretenderebbe rifiutare sì l'uno che l'altro dei suoi due pretendenti. Ifigenia è giovane troppo per comprendere il bene ed il male: io, uomo di esperienza, debbo imporle la mia volontà. Un giorno ella si chiamerà contenta di avermi obbedito. —
Ifigenia, in udire tali parole, non può trattenere le lacrime, e si allontana. Dopo breve silenzio io prendo di bel nuovo la parola:
— Lanfranconi! mi accorgo che la questione è assai più difficile a sbrogliarsi di quanto in sulle prime mi appariva. Nondimeno, se mi concedete pochi minuti per parlarvi da solo a solo, spero venire a capo d'uno scioglimento felice. In presenza di questi signori non oserei esporvi apertamente il mio pensiero. —
Il Nebbia ed il Trigambi si ritirano, e nell'uscire dalla sala sospingono la porta con un urto sì violento da far crollare le muraglie. Io piglio pel braccio il mio ospite, e scendo con lui nel giardino.
Il giardino del signor Lanfranconi, veduto alla luce del giorno, presenta allo sguardo un quadro di devastazione. Si direbbe che un violento uragano abbia abbattuto gli alberi, sfrondate le siepi, scomposte le zolle. Io non posso a meno di esprimere la mia meraviglia all'ospite che mi dà di braccio: ma questi non curandosi tampoco di volgere intorno una occhiata, mi risponde asciutto: — chi può occuparsi di giardino e di fiori, mentre le questioni politiche assorbono tutta la nostra attenzione? I miei servitori da mane a sera hanno i giornali nelle mani. Ciò reca qualche inciampo al disimpegno de' loro affari: l'ordine della casa non cammina colla usata regolarità; ma io preferisco aspettare alla mattina il mio caffè e panna e mettermi a tavola una o due ore più tardi, anzichè porre ostacolo alla educazione politica del popolo. —
Così parlando, noi ci inoltriamo in un viale. Volgendo gli occhi per caso verso la serra dei limoni, mi vien veduto lo zuavo della sera precedente, il quale con energica famigliarità abbraccia la sorella del mio rispettabile amico.
— Allontaniamoci, — mi dice il Lanfranconi all'orecchio....